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Come controllare la qualita' in una catena di coffee shop

feb 20, 2019

Si tende spesso a credere che tutte le catene di caffetteria siano uguali, appiattiti sullo stesso stile e la medesima qualità, ma questo è un errore piuttosto comune.

Alcuni punti vendita sono aperti da baristi noti a livello internazionale, ex campioni del mondo di competizioni SCA: avremo quindi la sicurezza che questi negozi avranno una qualità altissima, particolari attenzioni alle materie prime e alle attrezzature. Ovviamente, questi baristi, proprio per poter seguire la qualità di queste location, non apriranno mai più di 2-3 punti vendita.

La tendenza delle catene di fascia media, invece, è quella di passare dalle macchine semi-automatiche a quelle superautomatiche: la bravura del barista viene quindi meno, preferendo soluzioni che possano garantire, anche con un ampio turn over del personale, la medesima qualità, seppur livellata verso il basso. Nelle poche catene che continuano ad utilizzare macchine semi-automatiche, il barista si trova oberato di lavoro, dovendo seguire la qualità dei caffè e i training al nuovo personale.

Bisogna trovare quindi soluzioni intelligenti senza forzatamente dover rinunciare alla qualità delle macchine da caffè professionali. Ecco alcuni punti fondamentali da seguire.

Formazione

Non bisogna trascurare l’aspetto della formazione. Fare un buon training garantisce risultati, qualità ed entusiasmo da parte del personale coinvolto. Le migliori catene effettuano un corso che va dai 3 ai 10 giorni, ma dopo appena due settimane, non si è certo pronti a gestire un coffee shop di successo! In Corea del Sud gestivo una caffetteria con 23 punti vendita e più di 200 baristi: la formazione era la chiave del successo. Il tutto consisteva in una valutazione a “stelle”, 5 le stelle in palio. Si guadagnava la prima stella dopo 4 settimane di lavoro, con training specializzati e incontri di team building, corsi sull’origine del caffè e sul funzionamento delle attrezzature. Ovviamente, l’assaggio di caffè era una componente importantissima di questa fase di apprendimento. La seconda stella si guadagna dopo due mesi di supervisione nel coffee shop e dopo simulazioni delle gare del World Barista Championship. Le restanti tre stelle saranno quindi conquistate nel corso dei successivi sei mesi, dove il barista sarà in grado di essere a sua volta un trainer qualificato.

Strumenti

Un fattore fondamentale è quello di controllare la condizione degli strumenti. Ogni coffee shop ha condizioni e dotazioni diverse, il materiale cambia, gli strumenti differiscono, alcuni prodotti possono essere nuovi o addirittura di seconda mano. Come ormai noto ci sono le 5M del barista: miscela, macinatura, macchina, mano e manutenzione. Aggiungerei però una sesta M, mantenimento, fattore essenziale nelle catene. Mantenimento è sinonimo di costanza, quindi di clienti felici che tornano nei coffee shop per avere sempre la stessa tazza.

È proprio per questo che strumenti come il GCS (Grinder Control System) e l’MCS (Milk Control System) di Dalla Corte possono essere di grande aiuto per le catene, per standardizzare la qualità e i processi dei baristi. Connettendo il grinder alla macchina si ottiene sempre un’estrazione perfetta e costante nel tempo, mentre il cappuccinatore automatico può essere una “mano extra” o un importante aiuto per i nuovi baristi.

Supervisione

Senza un controllo meticoloso degli strumenti, delle condizioni e dei baristi, non si può dire di avere una catena che punta a garantire la qualità. Infatti, avere un buon sistema di telemetria, come l’OCS, è di estrema importanza per controllare i parametri di ogni singola macchina. Queste ultime, connesse a sistema tramite una rete internet, possono inviare dati e statistiche ai proprietari o gestori del punto vendita: un occhio sempre attento sulla qualità.

L’unica costante delle catene, il caffè, è materia viva: cambia spesso e tanto. Tostato fresco, chiaro, scuro, l’importante è conoscere bene le proprietà del chicco, trattarlo nella maniera corretta ed avere sempre bene in mente che il risultato in tazza è solo l’ultima parte di un lungo processo, partito da lontani paesi equatoriali e da una soleggiata piantagione.


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